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Santa Melania

Santa Melania Juniore nacque a Roma verso la fine deI 383. Era figlia di Valerio Publicola della nobilissima stirpe dei Valeri, celebre fin dai tempi della Repubblica Romana per una lunga serie di consoli e di magistrati. La madre di Melania, Albina, discendeva dalla famiglia Celonia ed era cristiana. Il padre di Albina, invece, era pontefice di Vesta.
Melania fu affidata presto ad una istitutrice greca, come era consuetudine presso i Romani. Le fu impartita una educazione degna della nobile famiglia cui apparteneva. Apprese perfettamente il latino ed il greco, che parlava correttamente. Fin da piccola amava Io studio e desiderava molto apprendere.
Fu guidata presto alla pratica religiosa cristiana. Suo padre la iniziò all’amore e allo studio della Bibbia. Si adattava con fatica allo sfarzo e al lusso della casa. Ma il padre la costringeva a vestire gli abiti più ricchi e a portare gli ornamenti più preziosi. La voleva la fanciulla più ammirata e invidiata di Roma.

Melania, sull’esempio di nobili fanciulle cristiane, desiderava consacrarsi a Dio nella verginità. Ma Publicola, per salvaguardare il ricco patrimonio della casa e per continuare la sua stirpe, la promise in sposa al figlio di un suo cugino. Nel 397, a quattordici anni, Melania si unì in matrimonio a Piniano diciassettenne. La giovinetta, forzata a sposarsi e tristemente impressionata dalla licenziosità delle famiglie romane, chiese alla sposo di vivere in totale continenza. Piniano non acconsentì. Nacque presto una bambina, che morì poco dopo. Melania rinnovò la sua richiesta, ma intervenne il padre, allontanandola dalle persone che, secondo lui, la distraevano dal tenore di vita che egli sognava per lei. La notte di San Lorenzo del 399 Publicola non le permise di celebrare la veglia nella basilica del Santo con tutti i fedeli. Melania fu costretta a rientrare in casa, dove passò l’intera notte in preghiera, inginocchiata sul pavimento. La mattina seguente si recò in basilica per la Messa. Tornata a casa, fu costretta a letto, per un parto prematuro. Diede alla luce un bambino, che morì il giorno appresso. La giovanissima mamma in quei giorni fu tra la vita e la morte. Piniano, che l’amava teneramente, corse alla basilica di San Lorenzo ad impetrarne la guarigione e promise che se fosse guarita avrebbe assecondato il suo desiderio di vivere in perfetta continenza. Ottenne il miracolo e mantenne la promessa.
Il padre di Melania, ambiziosissimo, nonostante la sua pietà, lodata anche da Sant’Agostino e da San Paolino di Nola, costringeva i giovani sposi, con forte riluttanza della figlia, a condurre una vita secondo il rango della nobilissima famiglia. Nel 404 egli venne a morte. Melania poté allora cambiare completamente il tenore della sua esistenza e conformarla a quella di pietà e di rinuncia della sua nonna paterna, Santa Melania Seniore.

La madre Albina e lo sposo Piniano vollero seguirla nel suo impegno di maggiore conformità a Cristo, povero e umile. Con lei lasciarono il ricchissimo palazzo di Roma e andarono a vivere in una villa di campagna. La loro casa diventò presto centro di ospitalità, di carità, di vita religiosa. Le sostanze dei Valeri, di cui Melania, dopo la morte del padre, era diventata unica erede, ammontavano ad un valore inestimabile. La giovane matrona, nella sua sensibilità cristiana, si sentiva oppressa da quella immensa ricchezza. D’accordo con Piniano, pensò di vendere gran parte del patrimonio per aiutare le chiese e i poveri. Appena i parenti ebbero sentore di questo progetto, aizzarono contro i due giovani sposi i contadini e i servi. E fu così forte la guerra scatenata soprattutto dal fratello di Piniano, Severo, per impedire la vendita che Melania fu costretta a ricorrere all’imperatore Onorio. Si presentò a Serena, suocera dell’imperatore, che rimase fortemente colpita dall’umile contegno e dall’abito dimesso della giovane matrona e le ottenne subito un rescritto imperiale, che incaricava le autorità delle province, sotto la loro personale responsabilità, a favorire la vendita delle proprietà dei Valeri e a consegnarne direttamente il prezzo a Melania. Con la somma ricavata diede aiuto e soccorso ai poveri, ai malati, agli schiavi, ai pellegrini, alle chiese e ai monasteri in tante parti dell’impero. Lo storico contemporaneo Palladio assicura che i monasteri di Egitto, Siria, Palestina ricevettero forti aiuti da Melania e che in una sola volta liberò ottomila schiavi.

Nel 406 con Piniano e la madre, Melania si recò a Nola presso San Paolino, vescovo della città e suo lontano parente. Il Santo, in un bellissimo carme latino, ricorda come la generosa patrizia lo aiutò con le sue ricchezze nella costruzione della basilica di San Felice, patrono della città, e dei molteplici edifici annessi. La ringrazia anche perché con il suo sostegno poté realizzare l’acquedotto e incrementare e abbellire Nola. Melania, intimorita dall’invasione dei Goti, che scendevano verso l’Italia meridionale e conquistavano e bruciavano Reggio, dopo una brevissima sosta nella sua villa di Messina, con il marito e la madre si recò in Africa a Tagaste. incontrò Sant’Agostino, che, in una sua lettera, chiama i tre: “astri luminosi della Chiesa”. Costruì due monasteri, uno maschile e uno femminile. Nel primo si ritirò Piniano con alcuni servi, che l’avevano seguito, e nell’altro Melania con la madre e parecchie donne. Nel 417 lasciò l’Africa per pellegrinare in Palestina. Si sistemò coi suoi a Gerusalemme. Qui incontrò sua cugina Paola, nipote di Santa Eustachio, che la presentò a San Girolamo, guida spirituale di un gruppo di pie matrone, dedite nel paese di Gesù, alla contemplazione e alla penitenza. Fondò anche qui due monasteri. In quello femminile si ritirò con la madre. Scrisse una regola, ricca di umanità e di dolcezza, molto diversa da quelle allora in vigore che prescrivevano un’austera disciplina anche fisica. Si nota in essa chiaramente un’influenza romana e occidentale, in particolare nell’insistenza sulla pratica liturgica con la recita del Salterio e le celebrazioni eucaristiche.

Santa Melania passava le giornate, oltre che nella prolungata preghiera, nello studio e nella meditazione della Sacra Scrittura e nella trascrizione in latino e in greco dei libri sacri, che distribuiva ai vari monasteri. Duecento anni dopo la sua morte circolavano ancora manoscritti attribuiti a lei. Leggeva l’intera Bibbia quattro volte l’anno. La conosceva così bene che il suo biografo asserisce che s’era trasformata in succo e sangue suo e che l’abituale parlare rifletteva il linguaggio biblico. Cercava con avidità i commenti dei Padri e degli scrittori ecclesiastici, che leggeva assiduamente con grande profitto. Le varie comunità di vergini avevano in lei non solo una madre tenerissima, ma anche un’impareggiabile e colta maestra di spirito. Nel 431, dopo quattordici anni di vita in Palestina insieme con la figlia, morì santamente la madre di Melania, Albina, e l’anno dopo anche Piniano. Il Martirologio Romano lo annovera nel catalogo dei Santi. Melania seppellì i suoi cari uno accanto all’altro, sul Monte degli Ulivi. Vicino costruì per sé una piccola cella ed in seguito un monastero, nel quale si ritirò.

Cinque anni dopo la morte dello sposo, venne a sapere che Io zio Volusiano, già prefetto di Roma, era giunto a Costantinopoli con un’ambasciata presso l’imperatore. Nonostante i tentativi di Sant’Agostino e di San Paolino di Nola, egli era rimasto pagano, non tanto per convinzione quanto perché i molti suoi amici lo dissuadevano dal convertirsi al cristianesimo, soprattutto ricordandogli i precetti morali che la legge evangelica imponeva. Melania, fiduciosa in Dio e nella potenza della preghiera, lasciò Gerusalemme e si recò dallo zio. In quel tempo egli cadde malato. La dolcezza, la pietà, la viva e luminosa testimonianza cristiana della nipote scossero il cuore di Volusiano, che chiese il battesimo. Gli fu amministrato la vigilia dell’Epifania del 437 da San Proclo di Costantinopoli. Morì il giorno dopo.

Tornata a Gerusalemme, Melania continuò la sua vita di sempre nel monastero, dedita alle lunghe ore di preghiera e di contemplazione, alle celebrazioni liturgiche, allo studio e all’esercizio della penitenza.
Il Natale del 439 volle passarlo a Betlemme, presso la grotta della Natività. Alla cugina Paola manifestò che si sentiva venir meno e che prevedeva la morte ormai vicina. La festa di Santo Stefano, dopo aver partecipato alla Messa nella basilica a lui dedicata, lesse alle sorelle il racconto del martirio del Santo diacono nella pagina degli Atti degli Apostoli. Volle fare una visita di congedo ai monaci e, di ritorno alla sua cella, si sentì mancare. Alle sorelle, radunate attorno al suo giaciglio, disse con commozione:
“Il Signore conosce la mia indegnità e che non ardirei paragonarmi a nessuna donna, nemmeno a quelle che vivono nel mondo. Tuttavia penso che neanche il nemico nel giudizio finale potrà accusarmi d’essere andata a dormire anche una sola volta con animosità e rancore nel cuore verso qualcuno”. La mattina della domenica deI 31 dicembre il confessore Geronzio celebrò la Messa. La sua voce era tremante per la commozione e Melania gli fece sapere che non riusciva a sentire le sue parole. Durante il giorno andarono molte persone a visitarla. Verso sera si sentì molto stanca e chiese che la lasciassero riposare. Nella notte sopraggiunse la morte. Si spense, ripetendo le parole di Giobbe: “Quel che il Signore vuole; sia fatta la sua volontà!”. Aveva cinquantasei anni. Nella chiesa bizantina fu presto onorata come Santa.
In Occidente fu iscritto il suo nome nel Martirologio Romano insieme con quello di Piniano, ma non le fu mai tributato un culto particolare. Solo nel 1908 San Pio X approvò la sua festa aI 31 dicembre.

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